Antwone Fisher, un film per apprendere il “lavoro” del mediatore

Il 28 gennaio 2019 in radio, ho ospitato l'amico e collega Giuseppe Tedesco e con lui abbiamo parlato di un film molto interessante: Antwone Fisher. In quella puntata sono emersi tanti spunti interessanti sulla mediazione e la gestione delle controversie.

Stefano Cera

Maggio 6, 2019

Il 28 gennaio scorso in radio, ho ospitato l’amico e collega Giuseppe Tedesco e con lui abbiamo parlato di un film molto interessante: Antwone Fisher. In quella puntata sono emersi tanti spunti interessanti sulla mediazione e la gestione delle controversie. E, una cosa che mi ha colpito molto, è stata la particolare modalità (emozionale e esperienziale) con cui Giuseppe “approccia” in aula (e fuori) queste tematiche. In seguito a quella puntata, ho chiesto a Giuseppe di scrivere un articolo per il mio sito. Eccolo 🙂 Lo ringrazio di cuore e… buona lettura!

Antwone Fisher è il film con il quale Denzel Washington, nel 2002, fa il suo esordio come regista. Un film drammatico, ispirato alla storia vera di Antwone Fisher il quale è stato anche sceneggiatore del film, che fornisce interessanti riflessioni e spunti sulla formazione ed in particolare sulla formazione in tema di mediazione e negoziazione.

TRAMA DEL FILM

Antwone Fisher è un marinaio, della marina statunitense, dal carattere irascibile che si accende come un fiammifero alla minima occasione. A seguito di una lite con un commilitone, Antwone Fisher viene affidato alle cure di un ufficiale medico, il dott. Davenport, psicologo, interpretato da Denzel Wasghington.

Dopo le prime resistenze Antwone, grazie al sapiente lavoro del dott. Davenport, comprende di potersi fidare di lui e per la prima volta si racconta. Sarà il primo passo alla scoperta di se stesso. Il dott. Davenport inizia gradualmente a scavare nel passato traumatico di Fisher, facendo emergere la sua turbolenta infanzia.

E’ la storia di un bambino adottato, “nato sotto una pietra”, come dice lui, che ha dovuto superare traumi e nefandezze, ma che ha sempre conservato una grande dignità. Un bambino che non ha mai conosciuto il padre, ucciso prima che lui nascesse, né la madre che lo ha partorito in carcere per abbandonarlo subito dopo. Viene adottato da una coppia molto religiosa che però lo sottopone ad ogni tipo di maltrattamento e abuso.

Il dottore diventerà il padre che Fisher non ha mai conosciuto e lo sosterrà per tutta la durata del trattamento invitandolo a cercare la sua vera famiglia. Comincerà così a credere in se stesso partendo insieme alla sua donna verso i luoghi della sua infanzia, ove è cresciuto, per cercare di ricostruire il percorso del suo passato e liberarsi dalla “pietra” sotto la quale dice di esser nato.

Il film ha momenti di grande intensità, così come molto toccante è l’incontro tra il giovane marinaio e la madre dal cui silenzio Antwone rinascerà in pace non se stesso. Il rapporto tra Fisher e il Dr. Davenport servirà al giovane marinaio per ritrovare se stesso ma servirà anche al dottore per capire come fronteggiare la crisi con la moglie che non riesce a dargli un figlio.

SPUNTI DI APPRENDIMENTO

Come detto, il film permette di focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti e tematiche riconducibili alla formazione in generale ed in particolare alla formazione in materia di mediazione e negoziazione. Sin dalla prime battute del film emergono quasi in contrapposizione l’incapacità di comunicare del protagonista del film, che lo porta a manifestare in ogni momento la sua rabbia, la sua collera, e la capacità di comunicare del dott. Davenport che con pazienza e con abilità riesce a stabilire un canale di comunicazione.

Il modo di fare le domande, la semplicità e la linearità del linguaggio che costruisce ed aiuta ad eliminare le barriere, rispecchia il modo in cui un mediatore/negoziatore, deve agire. Le domande devono essere poste e devono essere dirette al fine di mettere al centro dell’attenzione chi le riceve: in questo modo si favorisce lo sviluppo dei canali di comunicazione: attraverso le domande si hanno le informazioni utili per comprendere i reali bisogni di chi partecipa alla mediazione.

La comunicazione permette di costruire un rapporto, una relazione tra chi domanda e chi risponde che, articolato correttamente, diventa generatore di un rapporto di fiducia. Un esercizio per migliorare il nostro modo di fare domande ma anche per migliorare la nostra capacità di ascoltare le risposte consiste nel c.d. “gioco delle parti” che viene anche menzionato nel film.

Dopo avere individuato l’oggetto della “conversazione” (ad es. il figlio che vorrebbe andare a cinema in un giorno feriale), i partecipanti si dispongono in cerchio, (ricordiamo che la comunicazione nell’ambito della mediazione è circolare e non unidirezionale), e pongono una domanda a colui che è al centro (le domande devono porre al centro dell’attenzione chi le riceve): le domande servono ad ottenere informazioni utili per comprendere quale possa essere l’opzione negoziale che soddisfi i reali bisogni delle parti. L’analisi, anche collettiva delle risposte. permette una elaborazione ed una riflessione sulle domande poste e sulle risposte ottenute.

Durante gli incontri di mediazione si può assistere a momenti di collera e di rabbia delle parti presenti, basti pensare ai conflitti che nascono in materia di successioni o in materia condominiale, ed il mediatore deve avere la capacità di gestire la rabbia e la collera degli altri. Nel film troviamo riferimenti pertinenti alle tecniche di gestione della collera/rabbia: saper indirizzare tali emozioni, utilizzarle per creare una energia positiva che aiuti a superare il conflitto.

E’ giusto essere arrabbiati o essere in collera per qualcosa che è stato percepito come un torto, un abuso, un sopruso, ma dopo sarà necessario trarre energia positiva da questo e trasformarla in “forza negoziale” facendo comprendere che solo la cooperazione aiuta a superare i conflitti. Il mediatore ha queste capacità perchè come il protagonista del film ha una grande forza interiore che gli permette di superare le difficoltà che sin dal primo incontro vengono poste come muri insormontabili; pensiamo ad es. alla diffidenza delle parti ed anche degli avvocati che si dimostrano ostativi, o anche ai silenzi o al contrario le grida che possono esserci duranti un incontro.

Come il protagonista anche il mediatore fa della resilienza un suo punto di forza poiché le perplessità, la sfiducia, i dubbi che percepisce e che provengono da chi partecipa alla mediazione, vengono trasformati in modo positivo ed utilizzati per infrangere il muro. Pensiamo alla tipica affermazione “E’ solo una perdita di tempo” (lo dice anche il protagonista nel film) e pensiamo ai mille modi che ci sono per dare ad una simile asserzione un senso positivo.

CONCLUSIONI

Il film si conclude con un interessante riferimento all’apprendimento reciproco che sia come formatori che come mediatori poniamo al primo posto di ogni nostra esperienza. Ogni volta che usciamo da una aula di formazione o da una mediazione ci rendiamo conto che abbiamo ricevuto molto di più di quello che abbiamo dato.  Ritorniamo sempre arricchiti e consapevoli di avere avuto un miglioramento non solo a livello di conoscenza ma soprattutto a livello di rapporti emozionali.

Anche quello del formatore e del mediatore in fondo è un viaggio dell’eroe…

(di Giuseppe Tedesco)

L’autore può essere contattato al seguente indirizzo mail: tedesco.g@tiscali.it

Link al podcast della puntata della trasmissione Così Parlò Cerathustra del 28 gennaio scorso.

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