INTRODUZIONE
Il film del 2011 di Roman Polanski è la versione cinematografica di Le dieu du carnage, opera teatrale in un atto di Yasmina Reza, scrittrice e drammaturga francese. Carnage è un film da seguire tutto d’un fiato e che fa emergere, nello spettatore, un disagio profondo (“davvero possiamo arrivare a tanto?”, questa è la domanda che mi sono posto – più volte – mentre vedevo il film).
E’ un film duro, che lascia il segno, di quelli “senza mezze misure” ma che, dal punto di vista della mediazione delle controversie, è utilissimo perché apre squarci di luce sul conflitto e sulle sue dinamiche distruttive, sulla base della più classica delle logiche di escalation.
TRAMA
In questo film il conflitto è rappresentato a tutto tondo, con alleanze e contrapposizioni tra i personaggi che cambiano, un dialogo dopo l’altro, una scena dopo l’altra, un’interazione dopo l’altra. Un film che ruota intorno a quattro protagonisti (due coppie di genitori di Brooklyn che decidono di incontrarsi per discutere della lite dei giovani figli e risolvere la cosa “da persone civili”), che nella loro interazione si ritrovano alla costante ricerca dicotomica di avversari e di alleati, in una prospettiva che più competitiva non si potrebbe, anche quando appare sotto le mentite spoglie di collaborazione e disponibilità.
Quattro protagonisti (i personaggi interpretati da Jodie Foster e John C. Reilly da un lato e Cristoph Waltz e Kate Winslet dall’altro), dicevamo, tuttavia più che sufficienti per descrivere l’”universo-mondo” che si muove dietro le quinte del “tanto peggio, tanto meglio”, nella quale – in una interazione personale – non conta tanto ottenere benefici, ma soprattutto infliggere più danni possibile.
SPUNTI DI APPRENDIMENTO
I personaggi del film descrivono le dinamiche del conflitto di genere (trasversale, tra mariti da un lato e mogli dall’altro), ma anche quei tanti focolai di tensione all’interno della famiglia (tra marito e moglie all’interno di ogni coppia) pronti ad esplodere nei momenti meno opportuni. Dinamiche che si sviluppano dalla ricerca iniziale su “cosa” fare per risolvere il problema in comune e “come” farlo.
Un conflitto all’interno del quale all’inizio sembra tutto chiaro (almeno in apparenza); chi adotta uno stile “morbido” e chi invece uno stile “duro”, chi è aggressivo e chi, invece, mostra un atteggiamento remissivo. Tuttavia, con il passare del tempo, il confronto tra le due coppie di genitori si avvia lungo un piano inclinato ed il conflitto, nella sua corsa, da latente diventa manifesto e praticamente inarrestabile. Per cui, alla fine del film, ci si può soltanto fermare, raccogliere le idee e riflettere costantemente sugli innumerevoli spunti sulle cose da fare per evitare di scivolare nella china pericolosa (che, chissà, potremmo “tranquillamente” intraprendere anche noi spettatori, se solo avessimo la sventura di trovarci al loro posto) che i protagonisti scelgono inconsapevolmente (?) di intraprendere… Del resto, lasciano intendere i personaggi, è la natura umana, non si può sfuggire facilmente da essa.
Un film che si chiude forse in maniera sorprendente (rispetto alle vicende dei genitori),ma che, allo stesso tempo, diventa anche la più prevedibile (rispetto al litigio tra i ragazzi), quasi a sottolineare che un’alternativa è possibile e che, in fin dei conti, non si nasca ineluttabilmente destinati ad essere predatori o prede ma ci si diventi, magari anche attraverso comportamenti pessimi, di cui, proprio nel film, troviamo una rappresentazione efficace.
RIFLESSIONI FINALI
In conclusione, Carnage è un concentrato di analisi sulle dinamiche del conflitto e, soprattutto, sulle “distorsioni” della comunicazione all’interno di esso. Un film da vedere, e rivedere – anche più volte, per cogliere ogni singolo “frammento” della sua preziosa lezione. Almeno, una volta superato il “disagio” di vederci in qualche modo rappresentati, tutti noi…
Bellissimo spunto sul tema che tocca tutti gli ambiti! Grazie Stefano!
Grazie a te Danijela 🙂